Gas! Gas!…. Tovarich Gheddafi!

La Libia è il primo fornitore di petrolio dell’Italia ed il terzo per il gas metano, con un export verso lo Stato italiano di 17,93 miliardi di euro nel 2008 e con un incremento del 24,4% rispetto al 2007.
Lo Stato libico vorrebbe investire parte del suo fondo sovrano, il Lybian Investment Authority (Lia), per entrare nel capitale ENI, con una quota che potrebbe arrivare fino al 10%.
I titoli minerari dell’ENI in Libia sono stati rinnovati, nel 2008, fino al 2042 e al 2047, rispettivamente per petrolio e gas.
Sono previste crescite della produzione dei giacimenti legati al “Western Libyan Gas Project”, progetto al 50% tra ENI divisione Gas & Power e la National Oil Corporation (NOC), la società petrolifera di Stato libica, con una produzione a regime di 10 miliardi di metri cubi all’anno, di cui 2 miliardi saranno destinati al mercato locale e 8 all'esportazione. Tutto ciò con il conseguente ampliamento del gasdotto Greenstream, attraverso il quale il gas proveniente da due giacimenti, Bahr Essalam (offshore, a 110 chilometri dalla costa libica), e Wafa (nel deserto libico vicino al confine con l'Algeria), arriva in Italia. Precisamente a Gela, dove è stato costruito il terminale di ricevimento collegato alla rete nazionale di Snam Rete Gas.
Ce ne è anche per le fonti rinnovabili. I libici sono interessati anche al progetto Archimede, una centrale solare termodinamica a concentrazione, progettata da Enel ed Enea, un prototipo della quale è attualmente in fase di costruzione a Priolo, e che potrebbe essere replicato, anche a più grande scala nel deserto libico. In concomitanza lo Stato libico vorrebbe entrare anche nel capitale ENEL.
Oltre a ENI ed ENEL molte sono le imprese a maggioranza di capitale italiano ad essere già presenti in Libia e/o ad essere in procinto: Trevi, Impregilo, Tecnimont, Finmeccanica, solo per citarne alcune. E tutte si apprestano a intensificare attività e profitti nel paese nord-africano. È ovvio che la presidentessa finto-liberista della Confindustria, Emma Marcegaglia, in occasione dell’incontro col leader libico Gheddafi, del 12 Giugno di questo anno, abbia affermato: «Credo proprio di poter dire che siamo in presenza di una svolta nei rapporti bilaterali».
Semmai qualcuno potrebbe stupirsi che le fila degli accordi da parte italiana le abbiano tenute quelli che fino a ieri potevano essere considerati come appartenenti alla fazione più filoamericana della politica italiana, ricordando che la ricerca di accordi strategico-economici tra l’imperialismo italiano ed i potentati locali del “mare nostrum” siano sempre stati una prerogativa della sinistra istituzionale.
Ma questo può sorprendere soltanto chi ragiona col primato della politica del gossip, poiché al di la delle manifestazioni folcloristiche, la vicenda Obama, ad esempio, ci dovrebbe avere già insegnato che gli accordi tra gli Stati cambiano nel tempo in funzione del mutare dei rapporti di forza economici e politici tra questi, così come cambiano le strategie delle multinazionali e a queste si adeguano le correnti politiche delle borghesie nazionali.
È piuttosto divertente (e allo stesso tempo però molto triste) pensare che oggi nel panorama della sinistra italiana ci sia chi, difendendo Gheddafi per un sentimento antimperialistico a senso unico nei confronti degli USA, si trovi costretto a difendere le scelte del governo italiano di destra. È triste pensare che nella sinistra italiana ci sia ancora chi pensi che gli interessi di Gheddafi e del suo entourage coincidano con quelli della maggioranza del popolo libico.
Proviamo a immaginare nelle tasche di chi andranno i risarcimenti pagati dallo Stato italiano alla Libia per scaricarsi la coscienza dal colonialismo liberale prima e fascista poi. Ci dicono che saranno impiegati per finanziare la costruzione di varie infrastrutture nel territorio libico; ma chi costruirà queste infrastrutture? Come mai imprese come Impregilo e Ansaldo sono molto interessate all’accordo bilaterale? Non è forse un altro canale per drenare denaro dalle tasche dei lavoratori italiani (ricordiamo: i principali contribuenti al mantenimento della macchina statale) a quelle degli azionisti di queste imprese ed in parte anche nelle tasche del capitalismo di Stato libico?
Denaro che oltretutto verrà “investito” per sfruttare i lavoratori libici che verranno impiegati in queste costruzioni, i quali in tutto questo orgiastico entusiasmo sono la parte che più ci rimetterà, insieme a quegli uomini e quelle donne che, nel tentativo di affrancarsi dalla fame e dalla persecuzione, alimentate dall’imperialismo delle potenze economiche e concretizzato dalle oligarchie locali, hanno provato ad assicurarsi una vita più dignitosa e che sono stati sacrificati sull’altare del più bieco cinismo imperialista.
Il connubio tra la tecnologia, il capitale pubblico e privato dell’imperialismo italiano e le fonti energetiche del potente capitalismo statale libico è foriero di grandi profitti. È questo quello che conta.
Ecco per incanto Gheddafi trasformarsi da feroce dittatore a prezioso partner economico e politico.

zatarra

Fonti:
http://www.eni.it/it_IT/
http://www.enea.it/
http://www.cameraitalolibica.it/